giovedì 30 gennaio 2014

Confessioni di una cotta arrogante. L'inizio.

Non ne aveva voglia. Quel treno, quella gente.
Ci sono momenti nella vita in cui non si ha voglia. Bisognerebbe sedersi e lasciare che il tutto passi- Ormai è già passato-, a quel punto si potrebbe solo andare oltre. E invece lei, che aveva la sensazione di essersene fatti passare tanti, di momenti, ci andò. Sopportò il ritardo del treno, la lunga sosta in stazioni remote, il suo umore, e alla fine arrivò. Pensò anche ad una buffa metafora sulla vita, basata sull'andare e sull'arrivare, e di come i tempi non coincidano mai. Si arriva troppo tardi e si riparte troppo preso. Pensò anche di tornare indietro. Invece proseguì.
Il giorno dopo fu davvero lungo. La gente sempre la stessa, ma in fondo, nella cornice di quel puzzle senza voglia, ogni pezzo era incastrato bene.
Arrivò la sera. Aperitivo in centro. La voglia di divertirsi, -perchè sennò era meglio stare a casa-, sarebbe meglio bere qualcosa, -perchè sennò tanto valeva andare al cinema-, sarebbe bello incontrare qualcuno, -sennò che colore ha questa notte-?

Qualcuno fece le presentazioni. Lui era tutto sommato belloccio. Vestito bene. Occhio arrogante. Sorriso invitante.
Lui era un ballo.
Uno di quelli che non si sanno fare, ma che comunque invogliano tanto. Uno di quelli in cui si muovono i fianchi -Ma tu non li sai muovere i fianchi- - Ma chi se ne frega, senti che musica!-.
Poi magari in pista ci vai davvero, i fianchi non li sai muovere e te ne stai un po' lì, incerta se tornare a sederti o fare finta di nulla.
Ecco.

Lui era quel ballo lì. Uno di quelli che è proprio un peccato starsene direttamente seduti, e non vedere se, per una volta, i fianchi non siano dalla tua parte. Che per una volta non si muovano nel modo giusto.
Lui le disse una cosa. E lei parlò. A quel punto lui la invitò a ballare. E lei se ne fregò.
E danzarono per tutta la sera. Danzarono al ritmo del vino, e a quello della gente. Avrebbero danzato per tutta l'Europa se avessero avuto le scarpe adatte. Non la si può prevedere di certo una cosa così.
-Balla stupida- -Ma sta finendo la musica.- -Non importa. Balla lo stesso. Il ritmo ti è entrato in testa, puoi ascoltarlo da sola, muovi quei piedi, non pensarci. E balla- 
-Non ho ancora imparato-
-Allora avresti dovuto restare seduta. Tutti ti guardano. Balla e basta, che prima o poi dovrai fermarti per forza.-
Era così. Un conflitto interiore continuo. Parole verso se stessa che tanto, lei, mai si sarebbe ascoltata.
Quella musica non si fermò.
A fine corsa la giostra si ferma. 
E tu scendi, perchè ti hanno insegnato che così, si fa. Uno sale per poi scendere, te la immagini tu una giostra che duri tutta la vita? Non si può. 
Ti verrebbe la nausea, staresti male.
E un treno. Te lo immagini tu un treno dal quale non si scenda mai? Non si può.
Dunque. Ad un certo punto tutti scendono. Non si fa finta di nulla. 

Ora mettiamo però che una giostra sia inaspettatamente bella. Tu compri il biglietto perchè sai che sarà come mille altre. Sali sul cavallo più colorato, quello con gli occhi più veloci, e neanche ti tieni, no, perchè mica si cade da una bestia così. Quel mondo favoloso comincia a girare.
Il tuo cavallo colorato però, nitrisce, e inizia a scalciare. Intorno tutto è regolare, ci sono perfino i bambini coi loro ronzini calmi che sorridono. E' tutto un carillon di dolci musiche e tenui colori. Solo il tuo cavallo impazzisce. -Ma si, forse è meglio che mi tenga-. 
Insomma, mica ce la si immagina una cosa così. Da non crederci.
Fa paura. Però è bella.
E inizi a pensare che hai pagato lo stesso biglietto di quei marmocchi che hanno la giostra uguale a mille altre, e solo tu, ti stai divertendo.
Fa ancora paura, ma sempre un po' meno.
Ora è bello davvero.
E tu non hai proprio voglia di scendere. -Starei qui per un po'. Un bel pò.-
Forse non ci sarà la nausea- 
Insomma, la musica non si ferma -Ma dovrebbe fermarsi- -Ma cosa vuoi che ti dica io, se non si ferma, non si ferma! - su quel cavallo, che ormai è nero, si arriva lontano.
Dove si sente il ruggito del mare. 
Fermarsi ora sarebbe proprio un peccato.


Si danza sul passato, che è stato importante.
Si danza sul futuro, che non è molto certo, ma che va bene così.
Si danza sul dolore, che fa meno male.
Si danza sulle convinzioni, sempre un po' meno convinte.
Si danza sulle risate, perchè se no, che gusto c'è.
Si danza al ritmo del -E' come se avessimo ballato insieme tutta una vita-
Si danza sugli sguardi, che sanno di scoperta. :"Ma non guardarmi così".
"Ti guardo come voglio".
Si danza di fatalità -Hai fatto bene a buttarti e danzare- -Non sono ancora molto sicura- -Si che lo sei-
Si danza di allegria, perchè ad essere tristi abbiamo tutto il tempo.
Si danza insomma.
Fino a che il cielo non diventa nero. Si dovrà proprio smettere di danzare.
La giostra si ferma. La musica pure. Si scende. 

-Sapevi che sarebbe successo- -Meglio così- -Non è vero-  -No, ma è meglio così.- 
Il treno, è un treno che porta a casa.
Ma non ci sono più sbuffi. Non c'è più il nervoso. C'è solo un po' di ricordo.
E un dolcissimo male ai piedi. -Che è meglio del male al cuore- -Lo so, stupida-

mercoledì 29 gennaio 2014

Perché gli adulti sono dei coglioni

Quando ero piccola, anche piccolissima, mia madre aveva sempre bisogno di chiedermi cosa ne pensassi del mondo.
Non ho mai capito perchè lo facesse.
Si metteva lì, vicino a me, magari mentre stavo facendo una cosa fighissima, tipo capire l'accoppiamento tra unicorni e delfini, e mi chiedeva con aria speranzosa “Amore, cosa ne pensi di..” o “Qual è la tua opinione su”
Io, che  non capivo un cazzo come tutti i bambini, e non avevo un'opinione mia su nulla, ( cosa normale quando hai appena imparato a dire il tuo nome completo, e il mio, Maria Giovanna, mi faceva sembrare più intelligente degli altri,) alzavo le spalle e non sapevo cosa dire.
Allora lei assumeva quella tipica espressione da mamma testarda e mi ripeteva il quesito, fino a quando, insieme, riuscivamo a dare una forma ai SUOI pensieri. 
Che entrambe ci illudevamo fossero i miei. 
La sua domanda preferita era “Cosa ne pensi degli adulti?” O anche “Come vedi tu gli adulti?”.
La verità è che io, un po' per quieto vivere, ed un po' per mancanza di argomentazioni sensate, degli adulti pensavo benissimo. Non mi sembravano dei coglioni spaziali come li vedo adesso. Mi sembravano carini e affettuosi, e soprattutto molto inclini ai regali. Che voglio dire. Mi pareva più che sufficiente per non insultarli appena mi voltavano le spalle. 
Invece lei, mia mamma, sperava sempre in qualche cosa di poetico e profondo, della serie “Gli adulti sono esseri immorali e superficiali. Predicatori di futili verità e meravigliose sciocchezze”. Roba che a 30 anni non saprei ripeterlo. 
A me piacevano gli adulti. Forse a lei no. Forse lei avrebbe dovuto dirmi che idee aveva e smetterla di tormentarmi. 
Il bello è che adesso non me lo chiede più. Quella domanda, passata l'età in cui imparai anche a contare, fu messa nel dimenticatoio. 
D'altra parte,il suddetto mistico dilemma, uscì così tante volte nei miei primi anni, che probabilmente si erano esaurite le volte in cui poter essere interpellato. 
Fine della corsa, insomma. 
Con l'arrivo della fase in cui si scopre che l'uomo deriva dalle scimmie, incominciarono altre domande, ancora più rognose, se si può, : “Dimmi cosa ne pensi delle droghe”. Ma cazzo. Che razza di test è? Ho 8 anni, cosa vuoi che ne pensi? 
Comunque. 

Adesso, alla soglia dell'età in cui uno si sente a tutti gli effetti un adulto (e solo perchè definirsi adolescente a 28 anni non sta bene, per dio), voglio dire quello che penso degli adulti. 
E perchè non ci siano fraintendimenti, per me gli adulti sono quelli che hanno dai 50 anni in su. Prima sono tutti mocciosetti.
Gli adulti, dicevamo.
Gli adulti sono dei coglioni incredibili.
E questo perché:
1) Hanno un sacco di esperienza di vita, ma ridono ancora come iene quando qualcuno scorreggia.
2) Potrebbero insegnare a noi post adolescenti come si sta al mondo. Insomma, condivideteci due regole cazzo! E invece ci sono le super milf che credono che un uomo le richiamerà, e dei vecchiardi che pensano che una ventenne stia con loro per amore.
3) Gli adulti non ci credono. Nel senso che non credono nei giovani. E questo fa di loro dei coglioni.
Prendiamo i genitori: passano tutta la vita a dirci come dovremmo stare al mondo”Lavati le mani, ringrazia sempre, usa i preservativi, le gonne troppo corte fanno mignottone, al colloquio di lavoro non parlare di soldi” ecc…
Però poi accade una cosa buffa. Che arrivi ad un’età tale per cui finalmente, dopo anni di lobotomizzanti Sailor Moon e Sampei, hai dei pensieri.
A dire la verità hai un’idea abbastanza precisa del mondo. 
Ma loro, gli adulti, pensano sempre che tu dica minchiate. 
Non capisci la politica. (Loro si, infatti negli ultimi 40 hanno votato loro, mica tu. E con che risultati!)
Non capisci l’economia. (Eccerto. Mica eri grande tu, negli anni ’80, in pieno boom economico).
Non capisci l’amore. “Ma voi siete divorziati!” “Appunto. Abbiamo imparato” 
4) Gli adulti hanno il terrore di lasciare il trono. 
Ecco. Questo secondo me è il nodo di tutto. L’opinione personale che mi sono fatta. 
I “grandi” hanno paura che tu sia più bravo di loro, più competente, più intelligente. 
Non lo fanno per troppo spirito di competizione. No. Assolutamente no. 
Lo fanno pechè hanno paura, anzi terrore, che una volta che tu avrai una filosofia di vita personale, un tuo credo inossidabile, loro automaticamente diventeranno inutili. 
Hanno bisogno di essere ancora fondamentali. 
Hanno bisogno di sentirsi ancora i padroni delle verità. Rimpiangono quando tu avevi 4 anni e chiedevi in continuazione “Perché”.
Loro vorrebbero ancora che tu chiedessi  perché.
Perché papà si deve fare questo?
Perché mamma hai messo la tazza così?
Hanno bisogno che ci accoccoliamo tra le loro braccia con gli occhi pieni di lacrime.
Hanno bisogno che li svegliamo ancora nel cuore della notte con l’anima in subbuglio.
Hanno bisogno che dipendiamo ancora da loro.
Hanno bisogno di portarci a pallavolo, calcio, basket. Alle feste degli amici. Al campeggio. A sciare con un freddo porco. 
Hanno bisogno dell'abbraccio del dopo scuola. E del bacio della buona notte. 
Loro ne hanno bisogno. 
Hanno bisogno di noi. Per mille ragioni. Ognuna personalissima e ognuna oggettiva. 

Alla fine, rileggendo e ripensando, forse non sono proprio dei coglioni. 
Forse sono persone terribilmente tenere a cui fa paura mostrare questo lato.
Perché un conto è avere un papà che non ha paura di nulla e un conto è avere un papà tenero. Il mio sicuramente preferisce non avere paura di nulla.