lunedì 29 settembre 2014

Antologia dell'uomo Bello

Ultimamente ho conosciuto diversi uomini Belli.
E per Belli, intendo Belli davvero, sapendo che non c'è nulla di più soggettivo della bellezza e nonostante questa consapevolezza, uso il termine Belli perché nei loro casi specifici non può esistere nulla di più oggettivo.

Una fortuna, direte voi.
'Nsomma.
Innanzitutto perché ho un fidanzato, il che vuol dire costringermi a guardare in basso, quando invece vorrei perdermi negli occhi di questi magnifici uomini, ma soprattutto perché quando si usa con troppa facilità un determinato aggettivo per descrivere una persona, penso sempre che dietro a quell'epiteto non ci sia altro.
E' una sorta di discriminazione di cui mi vergogno profondamente, pur sapendo di essere la prima ad usarla, come una bomba che tengo tra le mani, incurante che possa esplodere.
Poi c'è un altro fattore.
Ci sono delle caratteristiche maschili che per me hanno una priorità nella lista di ciò che trovo appetibile e desiderabile in un uomo e la bellezza è poco sopra all'ultimo posto, tra le voci Come sa fare la lavatrice lui, nessun altro e Ama i pantaloni col risvolto. 
Ho dei gusti terribilmente difficili, cosa di cui mi sono sempre vantata.

Detto ciò, sabato sera ho incontrato un esemplare adulto facente parte della categoria Sono Bello, sì lo so. 
E ci ho parlato. Soprattutto l'ho ascoltato. Ho messo in un cassetto i vecchi pregiudizi, ho dimenticato tutti i tamarri carini e privi di qualsiasi neurone base con cui ho dovuto -per ragioni molto misteriose e molto sessuali- approcciarmi nella vita e ho teso l'orecchio. L'ho teso talmente bene che a fine serata ho avuto la chiara sensazione di conoscerlo da molto tempo e di avere un'idea piuttosto nitida della persona che fosse.
Talmente nitida che di lui ho voluto scrivere.

T. è Bello.
T. non ha mai dovuto faticare troppo per entrare nel cuore e nelle mutande di qualsiasi essere consenziente lui desiderasse.
T. è un uomo pensante.
T. mi ha spiegato che è stanco di portarsi a letto qualsiasi donna piacevole incontri il suo cammino. Che non ne può più dell'eccessiva disponibilità femminile dimostratagli ogni volta che compone un numero di telefono. Che cerca qualcosa di più. 
T. è un romantico che parla ad una semi sconosciuta dell'importanza del primo bacio.
T. è pieno di maschere.
Quelle che lo portano a fare un po' il piacione,  quando una donna lo investe di attenzioni. Quelle che gli fanno uscire quel lato odiosamente borioso quando parla di sé. Quelle che poi lo fanno corteggiare la mia amica perchè lei sì, è assolutamente interessante e bellissima, ma è anche reticente e questa cosa in lui innesca la stessa smania che ha il cacciatore quando deve stanare la preda.
T. è chiaramente uno che non sa come comportarsi, quando sente il No che gli fiata sul collo.
T. ha sentito dire troppe volte quanto fosse Bello e meno quanto fosse intelligente.
T. è uno che ha sempre pensato di potersi comportare come voleva con le donne e questo ha aumentato a dismisura la sua autostima, pensa lui. Ha solo nascosto le sue insicurezze, penso io.
T. è uno che arrivato ai trent'anni, sente di voler essere importante per qualcuna che non si innamori di lui solo per il colore dei suoi occhi.
T. ha passato gli ultimi anni a nascondere quello che lui voleva, in nome di un ideale di desiderio da suscitare, che bramava, che non era disposto a perdere.
T. è uno che piange, ma mai davanti agli altri.
T. ha una parte sensibile estremamente sviluppata, che conoscono in pochissimi.
T. è uno che si stufa subito e troppo in fretta, probabilmente per la moltitudine di possibilità che ha sempre avuto.
T. è volubile.
T. è uno che desidera ardentemente farsi conoscere per quello che è. Pacchetto complesso da adottare,  pieno di luce ma soprattutto di ombre.
T. si contraddice spesso. Ha passato così tanto tempo a creare un'immagine patinata di sé, da nascondere violentemente la polvere sotto al tappeto.

Ho trovato tante similitudini tra T. e gli altri Belli, recentemente incontrati.
Non ho ancora avuto il coraggio di interrogarmi se questa fosse una coincidenza.
Ho riempito di interrogativi la mia testa per capire fino a che punto possano coesistere i personaggi che si creano e la loro natura, che prima o poi si ribellerà alla finzione e vorrà emergere.
A T. sta accadendo esattamente questo.
E io gli auguro di trovare qualcuna che non voglia salire sul cavallo della Bellezza- cavallo scomodo, a mio modesto parere- ma che riesca a vedere oltre ad un paio di labbra carnose.
Che trovi una donna che pensi: Lui ne vale la pena.
A trent'anni dovrebbe capitare a tutti, indipendentemente dalla faccia che si ha.



venerdì 19 settembre 2014

Chiedo scusa

Chiedo scusa a tutte le canzoni d'amore più belle, tristemente sprecate come dedica ad uomini indegni.
Chiedo scusa alle mie amiche, spesso trascurate per prestare attenzione a persone che non ne valevano la pena, quelle che fanno perdere le energie e la speranza che il genere umano sia affascinante. Avrei potuto fare più cene con loro, avere più scambi, ridere di più.


Chiedo scusa al mio cervello, troppe volte usato per combattere battaglie perse in partenza, per averlo obbligato ad impegnarsi in conversazioni stupide, così difficilmente ambigue, senza senso, spesso inconcludenti. Dibattiti trascinati, appesantiti da diatribe inutili, litigi insensati, parole al vento.
Chiedo scusa al mio corpo per tutte le corse che non ho fatto, per tutta la spazzatura che continuo a buttargli dentro e soprattutto per quella con cui continuerò a riempirlo in futuro.
Chiedo scusa alla mia femminilità per essere nata così ambiziosa, per non riuscire ad accontentarmi di un ruolo socialmente prestabilito, per volere di più, per esigere un lavoro che mi piaccia, degli hobby che mi completino, per tutte le passioni che mi tengono lontana da un figlio e dalla cura della casa.

Chiedo scusa a tutti gli amori che non sono stata in grado di tenere, che ho maniacalmente distrutto, con la lucidità di un killer. Chiedo scusa alle storie d'amore che in passato ho sabotato, perché la felicità è più complessa della tristezza.

Chiedo scusa a tutte le feste a cui non sono andata, perché ero pigra, stanca, annoiata, perché faceva freddo, caldo, buio, sole, iniziavano troppo presto, troppo tardi, non conoscevo nessuno, conoscevo tutti, no perché c'è un ex, c'è una stronza, c'è poco alcol, c'è poca vita. Vorrei andarci ma no, non ho nulla da mettermi e se fa freddo, se fa caldo, sudo, puzzo, i bagni fanno schifo.
Chiedo scusa alle mie passioni, irrimediabilmente rimandate perché Non è il momento giusto, perché ho tutta la vita davanti, perché oggi no, forse domani. 
Chiedo scusa a tutti gli anni che sono passati, che mi hanno vista a volte sconfitta, a volte disperata, a volte remissiva, a volte a terra. E chiedo scusa alle volte in cui avrei potuta rinascere, riemergere, rimettermi in piedi subito ed invece ho aspettato un pochino, per vedere come sarebbe finita.
Chiedo scusa alle lingue che non ho imparato, alle culture che non ho avuto voglia di conoscere, ai cibi dai colori sgargianti che non mi hanno invogliata. Ora so che chi assaggia, assapora, guarda con occhi curiosi ha un arricchimento incredibile.
Chiedo scusa al mondo, troppe volte non ammirato come si sarebbe meritato, come si dovrebbero ammirare le opere d'arte nei musei ed invece per un trillo del telefono, un messaggio ricevuto, una pigrizia dello sguardo, gli occhi si sono trovati a fissare il pavimento grigio.

Chiedo scusa a tutti quei libri che ho comprato e non ho mai letto, a quelli, che hanno perso la battaglia serale contro i talk show, i reality show, gli schifo show.
Chiedo scusa, per tutte le volte che avrei potuto e non ho fatto.
Per tutte le volte che volevo, ma poi ho desistito.
Per tutte le volte che mi sono convinta di essere felice.
Per tutte le volte che avrei potuto salvarmi.
Per tutte le volte in cui avrei potuto cambiare qualcosa ed ho preferito stare a guardare.

Ringrazio per tutto quello che non ho fatto, perché mi ha permesso di fare altro.
Ringrazio di non essere stata una persona che gli altri volevano, perché mi ha permesso di costruirmi un'identità molto forte.
Ringrazio gli amori gettati, perché mi hanno fatto capire chi davvero volessi al mio fianco.
Ringrazio tutti gli sbagli, perché hanno sempre insegnato qualcosa.
Ringrazio tutti i vaffanculo detti, che mi hanno fatto sentire più libera.
Ringrazio le convenzioni sociali mai seguite, perché mi hanno fatta diventare la persona di cui sono fiera.




lunedì 15 settembre 2014

Non me frega un cazzo della pace nel mondo. Welcome back, Miss Italia

Sul palco di quella che una volta era Miss Italia, è andato in scena lo spettacolo dell'assurdo.
E dell'insensibilità.
Nessuno durante le due ore e mezza (2.30 h!!!!) ha fondato una petizione su Change.org per il gatto di Sandro Mayer, costretto -povera bestia- a soggiornare sul suo cranio per tutta la diretta.
Nessuno ha detto A ad una bellissima Alena Seredova, invitata a far parte della giuria solo perché ha digerito le corna meglio di altre colleghe più isteriche e meno famose.  Siamo talmente abituati a botta e risposta a suon di Era impotente, No, lei era frigida, No lui mi rubava i sandali gioiello per andare a far la spesa,  che una volta che una reagisce con un minimo di classe, urliamo al miracolo.
Comunque.
Volevano un'edizione diversa.
E lo è stata. Peggiore. Che ci sembrava impossibile, ed invece...

















Le ragazze, giusto per ribadire il concetto che nello star system conteranno come un nuovo brufolo sulla fronte di Ilary Blasi, non vengono mai chiamate per nome. Solo per numero. Una soddisfazione per l'ego di tante ventenni, già messo a dura prova da calze trasparenti e luci imbarazzanti.
30 anni di lotte femminili spazzate via da una Ventura qualsiasi.

Ma veniamo ai punti salienti della serata:
Sulla scia de Le sfighe mi faranno vincere, la numero 3 inizia uno sproloquio su drammi familiari, conoscenti che non se la cagano a Milano, pezze al culo, insomma, parte quasi una catena solidale con SMS da inviare al 48778 con scritto "Aiutiamo una Miss a farsi degli amici", quando viene precocemente eliminata. Sarebbe stato meglio eliminarla definitivamente per non farla più soffrire, ma dicono che in questa edizione non fosse previsto. Pazienza.
Nessuno avrà mai più notizie di lei e i bene informati parlano già di suicidio.

Una azzarda un "Sono diventata Miss Italia dentro" e i giurati che iniziano a guardarsi sbigottiti "Sapevi niente tu? Io no tu? No." e il pubblico da casa in preda al panico pensando che la fascia se la sia mangiata.
Tutto fila liscissimo.

Nessuna dice che vuole la pace nel mondo (una numero boh ci fa sapere che desidera solo non mangiarsi più le unghie, anima candida) e Alessandro Preziosi che rimugina "A chi diciamo ora Che bella frase che hai detto?" il copione è notevolmente stravolto.
Quante emozioni. Pare proprio che non finiscano mai.

Gli autori ci avevano fracassato le palle con slogan che preparavano psicologicamente gli utenti a veder sfilare ragazze curvy. E qui vorrei dire un paio di cose:
una ragazza non è curvy quando:
-Ha mezzo chilo in più rispetto altre altre
-Ha mezzo chilo in più rispetto alle altre, di tette
-Ha mezzo chilo in più rispetto alle altre, di capelli
-Ha mezzo chilo in più rispetto alle altre, di ossa grandi
Capisco che vogliate essere democratici, ma quelle non si chiamano curvy, si chiamano "Ho lo stesso metabolismo di Fassino". Sono cose diverse, perdio.
"La 20 è burrosa! " Urlano come scolarette eccitate davanti ad un UFO. Ed io sprofondo nel divano pensando che se quella è burrosa io ho culo di triplo lardo di colonnata. Punto.
Ho visto ragazze non arrivare ai 50 chili manco dopo un cenone di Natale.
Fatevene  una ragione, voi, adolescenti con disturbi alimentari. Con 55 chili per 1,80 cm non siete magre. I medici mentono! Siete curvy. CURVY! Evviva. Evviva.

Poi.
Mi si dice che "Quest'anno è importante la bellezza interiore". Eccerto. Perché non è più un concorso di bellezza fisica, è diventato un concorso di poesie.
E quindi via all'ipocrisia, con la sfilata in tailleurs, di Cosa vuoi fare da grande, come se noi guardassimo la tv per sapere i sogni nascosti della numero 19. Al massimo ci interessa se la numero 19 ha le doppie punte. 
Perché è questo il concetto. Miss Italia è un programma storicamente basato sui "se": se una è figa o no, se rispetta i canoni attuali o no, e se no, se ha un impatto televisivo così forte da poterli cambiare.
La numero 23 sa cucinare? Sa limonare come un'aspirapolvere. Chissenefrega!
Ha la cellulite? Ottimo!
E' nato come uno show di rara bassezza e superficialità, non si è mai evoluto dai suoi esordi, allora che sia superficiale.
Allora che ci mostrino i culi, l'ignoranza, le passerelle su tacchi mobili.
Nel calderone dello show tutto viene mescolato per sembrare meno grigio, meno inetto. Si parla di femminicidio con una in costume che sorride alla telecamera, dopo che si è chiesto a una numero X di imitare un Gorilla in amore. Mayer è molto divertito. La Simo, nella sua celestiale sobrietà ride come una matta. Che spettacolo ragazzi!
Lo show vuole essere moderno, lievemente inspessito, quando il risultato è una fiera dell'assurdo con problemi mescolati a smalti glitterati, quando i problemi a Miss Italia non li vuole sentire nessuno.
Perché se è vero che questo programma rappresenta la mercificazione delle donne, va anche detto che è nato esattamente per questo.
Celarlo dietro a strati di presunta profondità, fa più inorridire di vedere della carne da macello in prima serata.

E poi viene nominata una Miss.
Che non mi pare proprio bellissima, ma in giuria c'è Emis Killa e lui sì che se ne intende.
Domani non se la ricorderà nessuno. Servirà solo, tra 20 anni, a paragonarla ad un'altra Miss e a farci pensare Che banalità, la bellezza degli anni 2000.






mercoledì 10 settembre 2014

La 71esima mostra della vanità

Quest'anno è stato un anno particolare per me.
Ho passato un inverno molto pigro, direi quasi letargico, durante il quale sono uscita pochissimo.
Non mi sono fatta trascinare alle (poche) feste di Padova, ho evitato come la peste le discoteche e mi sono un po' persa.
Mi piace pensare che mi sia riposata. Le bugie a me stessa sono quelle che mi riescono meglio.
Non ho la minima idea di come io abbia affrontato un intero inverno senza la mia scorta solita di Martini in corpo.
Poi è arrivata l'estate e tutto ciò che avevo evitato fino a quel momento, ho iniziato a desiderarlo, come una nostalgia che ritorna. Un po' spaventata ed un po' arrogante.
Ho vissuto di notte, ripescando dalla gioventù quello che era il batticuore da pre-serata, lo sforzo immenso di apparire bella davanti ad uno specchio, la riluttanza verso i tacchi che però, maledizione, sono sempre sexy.
Ho fatto finta di non accorgermi della lentezza del mio recupero fisico post-sbronza, della fatica di non sbadigliare. Ho abilmente ignorato gli sguardi di desiderio, diminuiti rispetto ai miei 20 anni e con essi anche la voglia di divertirsi a tutti i costi.
Ho vissuto, insomma. Con fatica, ma ho vissuto.

Così sabato, ho raccolto le forze, il mio tubino Calvin Klein, una truccatrice bravissima (Elisa Smile), un parrucchiere da urlo (Paolo Rubin) e con la mia amica B. mi sono diretta alla terrazza del Molino Stucky, Giudecca, Venezia, per la festa di conclusione della mostra del cinema.
In questa parata di vanità assoluta ci sono cose che ho imparato, altre che ho confermato, e molte che mi hanno stupita al punto da lasciarmi stordita.
Ho scoperto che chiedere una pizza a Venezia dopo le 10 di sera equivale a domandare un diamante ad un ragazzo riluttante.
Ho conosciuto uomini bellissimi e completamente cerebrolesi. Che non è una banalità, perché io, figlia di una cultura completamente maschilista, ho sempre pensato che fosse una prerogativa delle donne.
Ho capito che se uno è figo, davvero figo, può indossare un completo rosso fuoco e che i concierge degli alberghi di lusso possono essere un'ottima risorsa.
Ma soprattutto ho tristemente notato una cosa.
Che lo stile e la classe sono diventati pigri, escono di rado, come me, lo scorso inverno.
Ho visto ragazzine in jeans e t-shirt entrare alla mia stessa festa, quella festa dove il dress code imponeva ELEGANZA.
Ho visto ninfette vomitare a cuor leggero davanti all'entrata dell'Hilton, come se il proprio stomaco non fosse un problema loro.
Ho visto russe con minigonne inguinali e calze a rete, accompagnate da papponi con camicie a scacchi.
Ho visto seni scoperti e capelli arruffati.
Ho visto una generazione corrermi accanto, fatta di unghie fluo e ciabattine con tacchi.
Ho visto tanto che alla fine mi bruciavano gli occhi.

E tra un vaporetto ed un vodkalemon mi è arrivata la rivelazione. 
Aveva ragione Aristotele Onassis quando diceva:" Per avere successo, sii abbronzato, vai a vivere in un palazzo elegante (anche se abiti in cantina), fatti vedere nei ristoranti alla moda (anche se ti berrai una bibita), e, se chiedi un prestito, vacci giù pesante.".
Perché tutto è diventato una parata del sé, un'incuranza verso l'etichetta, una maniacale corsa verso uno scatto sul giornale. 
La voglia di stupire che si accascia su se stessa e risorge volgare e primitiva. 
Allora io a queste ventenni figlie di una cultura alla Roberto Cavalli non dirò assolutamente nulla, non mi immolerò sul pulpito dell'eleganza, perché no, non ne ho le credenziali. 
Mi piacerebbe però girare per la strada e vedere donne curate, con le unghie appena fatte, con vestiti adeguati al loro ruolo: di casalinga, di manager, di studentessa, di mamma, qualunque esso sia. 
Perché partecipare ad eventi con gente agghindata come se stesse andando all'Esselunga fa male al senso estetico. 
Di chiunque. 

Ps. Ringrazio infinitamente tutte le persone tremendamente eleganti che ho visto.
Le ringrazio perché per un attimo mi sono scordata del lavoro, delle bollette da pagare, della mia solita inquietudine.
I bei vestiti hanno anche questo potere.





venerdì 5 settembre 2014

WhatsApp, non ci siamo (stronzo)

Egregio Mark Zuckerberg,
non vorrei entrare in un dibattito socio-eco-psico-pseudointellettuale in cui ti spiego, con la mia solita isteria, quanto Facebook abbia incentivato le persone disturbate a dare prova di psicopatia, scambiandosi Like su Faccialibro, invece che limonare.
Vorrei concentrarmi su un altro strumento di tortura che tu, il più giovane miliardario del mondo, hai promosso sedendoti al tavola della nostra (ex) dignità.
Ti scrivo per dirti che hai creato più panico tu con WhatsApp, che Spielberg con lo Squalo.

La novità che hai deciso di propinarci la sappiamo tutti.
Hai inaugurato la tripla spunta, che detta così sembrerebbe un taglio di capelli per eliminare quelle punte maledette che si aprono a ventaglio.
E invece no.
Si tratta della voce "Ha letto". 
Ovvero io mando un messaggio.
Non lo mando a caso, sia chiaro.
Lo mando quando il suo ultimo accesso è avvenuto circa un minuto prima. Ancora meglio se è online.
Scrivo e il mio iPhone5 -che dovrebbe farmi le coccole visto quanto l'ho pagato-, mi informa che lui sì, l'ha letto e come gli altri 346 messaggi nell'ultimo mese, l'ha ignorato.
Allora io, caro Zuckerberg, ti propongo delle altre migliorie per rendere la vita delle single e non, ancora più divertente, perché ammettiamolo. Tra il Consegnato della mail, il visualizzato di Facebook e ora il Letto di WhatsApp, non si può più far finta che il lui di turno non abbia visto, abbia erroneamente cancellato, sia morto prima di aver capito il nostro interesse.

Quindi, sadico di un rosso, adesso prendi appunti. Se devi umiliarci, fallo come Dio comanda.
1. Installa l'opzione Sta tristemente fissando la chat da un'ora...
2. Perché non una Siri consulente sentimentale che dia simpatici consigli agli uomini come: Ha cambiato l'immagine del profilo. Fa cagare non trovi? Non le scriverai mica vero? Ignorala, è una sfigata. 
Essere mollate da Siri sarebbe infinitamente meno peggio del: Sta scrivendo da circa un'ora che implica che noi ci immaginiamo una proposta imminente di convivenza, quando invece l'esito finale è un Sono gay.
3. Sta cosa che si può visualizzare il contenuto del messaggio in anteprima è sadica.
Cioè, uno legge il testo senza entrare in WhatsApp, risultando saggiamente non visualizzato.
Non puoi dare modo -Mark dei miei stivali- ad un maschio medio di ignorarci senza pagare le conseguenze!
4. Voglio l'opzione automatica Ho visualizzato certo, ma voglio che soffri. Perché sono uno stronzo.
5. Anche quella: Del tuo essere online mi interessa meno delle sorti delle alghe in Antartide, quindi è meglio se vai a fare shopping. 
6. Digitando su Google Amore Sadico, Amore Masochistico, Amore, sei una scema, dovrebbe venire fuori l'icona di WhatsApp.
7. L'unica arma che abbiamo contro le sempre più frequenti amnesie maschili, sono le foto delle conversazioni, che scattiamo e mandiamo alle amiche per avere dei pareri esterni diversi dal Non ti caga. Perché Marcolino non spifferi questa cosa con un messaggio che dice: MaryG. ha appena fatto una foto! Una foto! Adesso non potrai più ritrattare di aver detto che sei single quando invece hai una moglie fighissima e sette figli! Cambia versione, ORA!
8. Perché non avvisare quando si guarda la foto? Tipo. MaryG. è entrata nel tuo profilo, ha guardato la tua foto e si è attaccata alla tequila. 

Comunque devo dirtelo, davvero.
Sta roba che si possa vedere l'orario in cui ci si connette proprio non mi va giù.
Lo sai quante coppie hai fatto saltare Mark? Hai idea?
Pensa ad un uomo che scrive alla sua donna Buonanotte amore mio alle 23.05.
Poi al mattino lei si sveglia e vede Ultimo accesso ore 04.55.
Ora, so che alcune se le bevono proprio tutte, ma capirai che non è credibile pensare che lui sia andato a fare pipì col cellulare in mano. Meglio -e più veritiero- farsi film mentali sul malcapitato ad un festino circondato da 4 spogliarelliste brasiliane.
Capisci il dramma?
La frase Perché cazzo eri online è il tormentone della nostra generazione.
Hai fatto danni Mark.
Ora io direi che potresti prendere te, il tuo localizzatore, il tuo WhatsApp, il tuo giochino per spiare la vita degli altri trasformato in innocuo passatempo a forma di diario (a causa del quale ho rimandato la laurea per 2 anni, perché conoscevo di più la vita della mia vicina, che macroeconomia) e sparisci.
Ridacci i vecchi SMS dove si aveva sempre il dubbio che l'altro avesse il credito finito e non potesse proprio risponderci. O avesse dimenticato il telefono a casa. O il testo si fosse perso nell'Iperuranio.
Lasciaci le illusioni Mark, che qua abbiamo troppi dispositivi che ci confermano quanto siamo ignorate.
Grazie.


martedì 2 settembre 2014

Io ci credo

Io sono una che nella vita ci crede.
Credo che un giorno diventerò così schifosamente ricca da permettermi Cracco in cucina, nudo, intento a preparare dei manicaretti che portino il mio nome.
Credo che riuscirò ad essere una mamma fichissima ed ovviamente un premio Pulitzer.

Credo che un giorno rientrerò in una 44 continuando a mangiare porcate pazzesche.
Credo che se mangerò il cioccolato alla domenica quelle calorie si disperderanno nel nulla e che se correrò per 15 minuti, potrò finalmente assaltare il frigo degli alcolici, perché cazzo, ho corso per 15 minuti (di solito di fila, ma non è mica detto).

Credo che il mio lavoro mi permetterà di guadagnare abbastanza da farmi fare tre mesi di vacanze caraibiche all'anno, ma soprattutto che il mio lavoro mi permetterà di prendermi 3 mesi di vacanze caraibiche all'anno.
Credo che se frequenterò persone buone, diventerò una persona buona. Lo stesso vale per le persone belle.

Sono una di quelle donne che ci mettono un po' a capire quando qualcuno le sta prendendo per il culo, perché di fatto non sono ancora arrivata a dubitare a priori del genere umano.
Credo al tipo che mi dice che non ha avuto tempo di scrivermi perché impegnatissimo a salvare le sorti dell'iguana in Nuova Guinea, quando in realtà ha passato il pomeriggio in una lotta tra se stesso e il livello 390 di Candy Crush.
Credo a tutti i Ti amerò per sempre che mi sono stati detti, anche anni dopo che quelle parole si sono esaurite, consumate, estinte. Ci credo anche se chi le ha proferite ha avuto dei figli -non con me-, ha traslocato -non con me- si è rifatto una vita -non con me-. Ci credo ancora perché non riesco a concepire la teoria secondo cui l'amore ad un certo punto marcisce e si esaurisce, come una pila che ha dato il meglio di sé, tragicamente scarica.
L'amore rimane. Si dimentica. Si insulta. Si seppellisce. Ma rimane. Ci credo.
Credo che sia possibile invecchiare con la stessa persona e ridere ancora, dopo 50 anni, delle stesse battute.
Credo nel destino, perché ciò mi consente regolarmente di fuggire dalle decisioni che non sarei mai in grado di prendere da sola. Faccio fare a lui. Che ne sa.

Credo alla mia mamma quando mi dice che sono la cosa più bella che ha fatto, dimenticandosi all'istante delle notti insonni, dell'isteria pre e post adolescenziale, del telefono sempre spento, delle mie fughe romantiche, delle incazzature proprie degli animi inquieti come il mio.

Credo che tutte le teorie, le lotte, i monologhi, i pianti disperati contro un cuscino, i pugni battuti regolarmente su un muro troppo duro, siano stati la parte migliore della mia vita. O almeno quella più sana.

Credo anche e soprattutto nei miracoli.
Credo nel miracolo di sapere dire di no ad un amore invadente, ad un amore oppressivo, ad un amore che non lascia scampo.
Credo nel miracolo di sapere dire di sì ad un cambiamento che da tanto stavo aspettando, ad un figlio che fa una paura pazzesca, ad un'amica che vuole vedermi da tempo.

Credo ai prodotti dimagranti che si fanno largo tra i vari: Più mangi e più dimagrisci, come credo ai deodoranti Più sudi e più profumi o agli uomini del Non ti ho chiamata perché mi piaci troppo.
Credo nella bellezza degli uomini che viaggiano, e annusano, e ascoltano, e assaggiano, e alla fine ti raccontano tutto, specialmente i dettagli.
Credo che la cultura e l'informazione siano la migliore àncora contro l'ignoranza e il perbenismo.

Credo che ballare in mutande non risolva oggettivamente un cazzo, ma ripari -per un po'- le ferite dannosamente più emotive. Per questo ogni volta che sono triste ballo in mutande.
Credo che essere abbracciati sia la cura più efficace che una persona possa offrire ad un'altra. Insieme ad una tequila.
Credo che le ragazze più belle non sono solo quelle più felici ma anche quelle che non hanno demoni da cui scappare.

Tutto questo per dire che esistono persone che ci credono.
E altre che se ne approfittano.
E che alla fine rubare la speranza a una che ci crede, è quasi più schifoso che rubare le caramelle ad un bambino che per tutto il giorno le ha sognate.
Non si fa.